Profughi, un album #3

Bertolt Brecht
Bertolt Brecht

Questa è la terza puntata dedicata all’album “Profughi”.

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49 – Fu il padre del romanticismo francese, grazie a drammi e romanzi immortali, ma fu anche impegnato politicamente, sempre in nome della libertà. Una passione che lo portò in rotta di collisione con il potere, finché dovette scappare dal suo paese. Un lungo esilio in giro per l’Europa, lontano dal totalitarismo del Secondo Impero, fino al ritorno nella patria democratica, acclamato come eroe.
E’ Victor Hugo.

50 – A 20 anni il socialista Herbert Ernst Karl scappò dalla Germania nazista in Scandinavia, dove prese la cittadinanza norvegese. Ma alla fine della guerra rientrò nella patria distrutta, diventandone uno dei politici più brillanti, fino a ottenere il Nobel per la pace per aver ricucito i rapporti col blocco orientale. Da rifugiato aveva cambiato il nome in quello che diventerà ufficiale.
Cioè Willy Brandt.

51 – E’ stata una delle più violente guerre civili del Medio Oriente. Lui, giovane giornalista libanese, decide di fuggire in Francia, dove continua il suo lavoro cercando di offrire agli europei un modo diverso di raccontare la sua terra, in romanzi e saggi come il suo best-seller “Le Crociate viste dagli arabi”. Ora è un accademico di Francia e ha vinto il Premio Goncourt.
Il suo nome è Amin Maalouf.

52 – Era l’incarnazione di un sentimento esistenziale profondo che mal si adattava alle regole del socialismo sovietico. I suoi film, osannati all’estero, erano vietati in patria e la sua vita messa sotto pressione. Durante un viaggio in Italia decise di non fare ritorno, di fuggire in nome della libertà d’espressione. Soffrendo sempre per quello sradicamento, che seppe trasformare in poesia visiva nel suo “Nostalghia”.
E’ Andrej Tarkovskij.

53 – A 18 anni è costretto a fuggire dal suo Paese a causa della guerra che fu sul punto di far ricadere il pianeta in un nuovo conflitto mondiale. Da Seul, scappa con la famiglia a Hong Kong, poi in giro per il mondo. Finché in Germania ha la folgorazione e diventa uno degli artisti contemporanei più innovatori e originali, il pioniere della videoarte.
Ecco Nam June Paik.

54 – Le sue poesie e i suoi testi teatrali infastidivano i nazisti che avevano appena conquistato il potere. Dovette fuggire dalla Germania prima che gli eventi precipitassero, mentre dietro di lui i suoi libri venivano bruciati. Alla fine della guerra, pure dagli Usa fu obbligato ad andarsene rifacendo il percorso a ritroso: il suo comunismo era “anti-americano”…
Si chiamava Bertolt Brecht.

Taslima Nasrin
Taslima Nasrin

55 – Un giovane regista con il futuro davanti. Ma la sconfitta della Primavera di Praga lo costringe a fuggire dal suo Paese per rifugiarsi negli Usa. Orfano di genitori partigiani morti nei lager tedeschi, seppe dare ai suoi film uno spirito di umanità e senso di libertà, vincendo due volte l’Oscar. Ci ha lasciato pochi mesi fa.
Il suo nome era Milos Forman.

56 – “L’amico del popolo” era il giornale da lui fondato. Ma la campagna scatenata contro gli anarchici lo costrinse a fuggire in Svizzera, da cui dovette scappare ancora, scrivendo una canzone diventata storica: “Addio, Lugano bella, / o dolce terra pia, / scacciati senza colpa / gli anarchici van via / e partono cantando / colla speranza in cor”. E ancora nuove fughe, inseguito dalla repressione per le sue idee.
Si chiamava Pietro Gori.

57 – Giovanissima ha vissuto sulla pelle gli abusi, così scelse il giornalismo, il femminismo e l’attivismo per i diritti umani. Minacciata di morte dai fondamentalisti islamici e di carcere dalle istituzioni, dovette scappare dal suo Bangladesh per rifugiarsi in India, dove rischia ancora la vita. Premio Sakharov per la libertà di pensiero, è una delle voci più alte che lottano oggi per la libertà.
Si chiama Taslim Nasrin.

58 – Un grande compositore affascinato dai venti di riforma. Dopo la repressione dei moti liberali del 1848 in Germania, fu costretto a scappare in Svizzera e in Francia. L’amico Liszt lo aiutò nella fuga, ma consigliandogli di lasciare il socialismo per dedicarsi solo alla musica. Aveva già scritto capolavori, altri ne comporrà ancora.
Il suo nome era Richard Wagner.

59 – Del golpe in Mauritania 10 anni fa non abbiamo neanche sentito parlare. Ma lui, giovane e benestante, l’ha vissuto sulla sua pelle, ed è scappato prima che i genitori fossero uccisi, attraverso strade violente e pericolose fino al calvario che affrontano tanti richiedenti asilo in Italia. Poi, la rinascita e la creazione di una cooperativa di marketing e comunicazione digitale a Roma. Oggi è un imprenditore di successo e ha raccontato la sua storia nel libro “Stronzo nero”.
Si chiama Mor Amar.

60 – Stava completando la specializzazione in neurologia, quando le leggi razziali la obbligarono a fuggire dall’Italia in Belgio. Ma quando i nazisti invasero questo Paese, decise coraggiosamente di tornare per proseguire nelle sue ricerche, nascondendosi e scappando dove possibile. Ebbe poi una vita lunga e straordinaria, coronata dal premio Nobel per la medicina.
Era Rita Levi Montalcini.

Rita Levi Montalcini
Rita Levi Montalcini

61 – Ha marcato la storia del teatro europeo nella prima metà del 900, facendo dialogare la scena con il cinema. Un vero punto di riferimento e di ricchezza di idee per i registi futuri. Finché le feroci persecuzioni antisemite del nazismo lo costrinsero a lasciare il suo Paese per fuggire negli Usa, dove il suo “Sogno di una notte di mezza estate” sbancò gli Oscar.
Si chiamava Max Reinhardt.

62 – Viene da una famiglia di profughi in fuga dalla Palestina senza più diritto al ritorno. Lei, nata e cresciuta in Libano, ha dovuto rifugiarsi in Inghilterra dopo lo scoppio della guerra civile. Di questa condizione di “profuga al quadrato”, sradicata da radici altrettanto fragili, ha fatto il senso del suo lavoro, che l’ha portata ai vertici dell’arte contemporanea, fino a vincere l’Hiroshima Art Prize per come ha interpretato la sofferenza dell’alienazione dei popoli.
Si chiama Mona Hatoum.

63 – Tre giovani militari in fuga dall’avventura bellica fascista: meglio essere rifugiati fuori dal proprio Paese che servire la Repubblica di Salò. Si conobbero e diventarono amici in un centro accoglienza profughi in un paesino svizzero. Poi, tornati in Italia, uno diventò raffinato regista e commediografo, un altro il padre della commedia all’italiana e il terzo il più grande regista teatrale italiano nel mondo.
Erano Franco Brusati, Dino Risi e Giorgio Strehler.

64 – La passione per la scrittura e l’impegno politico di sinistra, prima contro lo Scià, poi contro Khomeini. Ma il regime lo bracca e lui è costretto a fuggire dall’Iran. Dopo essere stato in un centro rifugiati, ottiene l’asilo in Olanda. Così ha raccontato perché scrive romanzi: “È per via della mia fuga: chi non può più tornare a casa finisce per vivere in uno stato di immaginazione”.
Si chiama Kader Abdolah.

65 – Ricardo Eliécer Neftalí Reyes Basoalto, attivista contro la dittatura, riuscì a sfuggire all’arresto, rifugiandosi all’estero. Tornato, si impegnò a fianco della democrazia. Il golpe di Pinochet lo costrinse a scappare ancora, ma questa volta la morte lo colse poco prima del nuovo esilio. E’ il più grande poeta cileno. Scrisse: “L’esilio è rotondo: / un cerchio, un anello: / i tuoi piedi lo girano, attraversi la terra, / non è la tua terra…”
Era Pablo Neruda.

66 – A 14 anni fugge dal suo villaggio nel cuore del Sud Sudan dove imperversa la guerra civile. Alla fine arriva a Londra, dove riesce a trovare una strada professionale inattesa. Nel giro di pochi anni arriva ai vertici del mondo della moda, fino a essere riconosciuta come una delle grandi top model internazionali per le case più importanti. L’ha raccontato lei stessa nell’autobiografia “La ragazza del villaggio Dinka”.
Lei è Alek Wek.

Franco Brusati Dino Risi Giorgio Strehler
Franco Brusati, Dino Risi, Giorgio Strehler

67 – Un’infanzia di sfruttamento, la coscienza dei diritti umani, la lotta contro l’esproprio delle terre del suo popolo, le minacce e l’uccisione dei suoi familiari da parte dell’esercito, e infine la fuga a poco più di 20 anni in Messico. Esponente del movimento di liberazione degli Indios del Guatemala, è diventata simbolo delle rivendicazioni dei popoli indigeni contro lo sfruttamento, fino al Premio Nobel per la pace.
Il suo nome è Rigoberta Menchú.

68 – Un giovane curdo cresciuto durante la guerra tra Iran e Iraq. Andato a studiare in Gran Bretagna, riesce a ottenere l’asilo come rifugiato. Con i suoi studi sull’algebra ha vinto proprio pochi giorni fa la Medaglia Fields, il più prestigioso premio mondiale per i matematici, per le sue dimostrazioni della limitatezza delle “varietà di Fano”.
Si chiama Caucher Birkar.

69 – Socialista e fieramente antifascista, e dunque diventato oggetto di minacce e violenze dagli squadristi e dalla polizia durante il regime. Per evitare il carcere, scappa in Francia insieme ad altri rifugiati politici, ma poi rientra per riprendere la lotta nella Resistenza, finendo in prigione e al confino. Dopo la guerra, una lunga militanza politica, finché diventa il più amato Presidente della Repubblica della nostra storia.
E’ Sandro Pertini.

70 – Aveva solo 7 anni quando la sua famiglia decise di lasciare l’Ucraina per il clima di crescente antisemitismo. Sbarcarono negli Usa dove ottennero un visto come “profughi per ragioni religiose”. Pochi anni dopo, ancora ragazza, tenta la strada della recitazione. Il successo è immediato e non si fermerà, arrivando a farle vincere un premio a Venezia per “Il cigno nero”.
Si chiama Mila Kunis.

71 – Lui, purtroppo, è un profugo che non ce l’ha fatta. I suoi libri hanno illuminato l’interpretazione della storia del 900 e dei nostri tempi: un filosofo tuttora imprescindibile. Quando i nazisti arrivarono a Parigi, fuggì verso la Spagna, ma arrivato sul confine il visto per rifugiarsi negli Usa non era ancora pronto: e non potendo espatriare, preso dalla disperazione, si uccise.
Il suo nome era Walter Benjamin.

72 – Era una giovane attrice di teatro. Allo scoppio della Rivoluzione d’Ottobre fuggì da Mosca e dopo aver attraversato vari Paesi approdò in Italia, dove riprese a recitare e a dirigere spettacoli. La sua impronta trasformò le scene italiane, dando impulso originale e approfondito alla nascente regia nel nostro Paese, anche attraverso un importante impegno pedagogico.
Si chiamava Tatiana Pavlova.

Rigoberta Menchù
Rigoberta Menchù

73 – E’ nato in un campo profughi in Siria dove da 40 anni vivevano famiglie palestinesi costrette a lasciare le loro terre. Diventato musicista, si ritrova in mezzo alla guerra civile. Un cecchino gli ferisce la mano con cui suonava, ma lui resiste e tra le macerie del campo devastato continua a fare musica per alleviare la sofferenza dei bambini. Infine fugge in Europa, dove ora fa concerti.
Lui è Aeham Ahmad, “il pianista di Yarmouk”.

74 – E’ uno dei più importanti scrittori, poeti e drammaturghi africani, primo del suo continente a vincere il Premio Nobel per la Letteratura. Cantore della dignità dell’uomo e della libertà, oppositore del regime dittatoriale che opprime e insanguina la sua Nigeria, è stato costretto a fuggire all’estero per scampare alla persecuzione e alla condanna a morte.
Si chiama Wole Soyinka.

 

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Wole Soyinka
Wole Soyinka

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