
“Una triste pace porta con sé questo mattino”: il finale letteralmente shakespeariano chiude il racconto dei due giovani anarchici arrestati dalla polizia, che hanno finito le loro vite in prigione diventando loro malgrado eroi della lotta al sistema. Sole e Baleno come Romeo e Giulietta, vittime immolate sull’altare espiatorio allestito da un Potere soverchiante, dove moderni Capuleti e Montecchi – la magistratura e i mass media – si uniscono per sopprimere ogni segno di alterità e antagonismo al sistema. Pietro Babina costruisce una vera e propria ballata d’altri tempi, di quelle dove la lotta contro il tiranno si intreccia all’amore genuino degli eroi, per svicolare da tutte le declinazioni possibili del teatro politico e proporre qualcosa che ha il sapore della grande avventura romantica hollywoodiana, portando però in primo piano la cruda cronaca vérité di due anarchici squatter dalla nomea infangata eppure pieni di luce, come i loro nomi: S&B – Sole e Baleno. Una storia vera in forma di favola, che recupera il valore politico, anche grazie al suo sottrarsi ai codici delle innumerevoli forme del teatro politico, aprendo un’altra strada, imprevedibile.
Lo spettacolo ripercorre la storia di Maria Soledad Rosa, detta “Sole”, e Edoardo Massari, detto “Baleno”, agli inizi del 1998. Lei giovane argentina piena di vitalità, lui anarchico italiano appena uscito di prigione: si incontrano, si mettono insieme, partecipano alla vita di un gruppo politico in una casa occupata, dove vengono arrestati in base a una congiura ordita dai magistrati con l’aiuto della stampa compiacente, per addossare loro la responsabilità di attacchi incendiari contro la TAV, caricandoli dell’accusa di ecoterrorismo. La loro detenzione è breve, perché prima lui e poi lei si suicidano in cella (per la cronaca, fuor di spettacolo, il terzo arrestato con loro sarà poi scagionato dall’accusa di terrorismo, ricevendo una condanna solo per singole azioni di sabotaggio).
La storia è dunque marginale ed emblematica al tempo stesso, ed è in questo nodo che Babina interviene per leggervi in controluce un nuovo Romeo e Giulietta, che possa avere la potenza della tragedia barocca, con tanto di traditori e apparizioni fantasmatiche, e al contempo il suo senso di specchio e confronto cogente con la realtà. Con almeno due ulteriori passaggi-chiave: l’intuizione di Brecht, che coglie la qualità comunicativa del cabaret assumendone gli strumenti in chiave di eversione scenico-drammaturgica per costruire grandi affreschi di micro-storie esemplari da interpretare in chiave politica; e l’agilità della commedia musicale (in primis americana), capace di assorbire una storia, inseguirla nei suoi rivoli più avvincenti, assaporarla in canzoni che possano sedurre gli spettatori, e renderla popolare. Il sottotitolo “favola anarchica” restituisce proprio questa doppia suggestione, quella della favola hollywoodiana e quella della questione politica: un’opera da tre soldi che ha il coraggio di confrontarsi con i modelli della narrativa epico-popolare.

L’inizio dello spettacolo ha il registro visionario e onirico di un’allegoria apocalittica ambientata esplicitamente, come recita la didascalia, in “una piazza anonima nel cuore d’Europa” nel tempo attuale. Un quadro scomposto, riferito dal Narratore, dove i Paesi europei si azzuffano, cortei di giovani avanzano, la polizia irrompe e sui cocci di Liberté Egalité Fraternité rimangono solo catene, banconote e armi. Dal prologo allegorico si passa al racconto di Sole e Baleno, che inizia con il loro primo incontro davanti a un giocatore delle tre carte in una fiera e prosegue poi per tutta la loro storia nota, alternato con la sequenza degli incontri del Giudice e della Giornalista per incastrarli. L’elemento favolistico è enfatizzato da un personaggio esplicitamente magico, quel Maurizius che li avverte che “tutto è scritto” e offre ai due giovani un cannocchiale per far accendere nei due la passione, e che alla fine torna per offrirlo nuovamente a Sole nella sua cella rivelando così il suicidio di Baleno.
Una storia come questa, raccontata in questo modo, non poteva che assumere la forma della commedia musicale, dalle connotazioni facilmente riconducibili un po’ a Broadway e un po’ a un film Disney. La partitura musicale di Alberto Fiori per lo spettacolo, infatti, è un universo sonoro elettronico che si apre continuamente a una ricerca melodica e a un’intensità emotiva che ben poco ha da invidiare a uno Stephen Sondheim, a un Andrew Lloyd Webber, a un Lin-Manuel Miranda o perfino a un Alan Menken: dei maestri del teatro e del cinema musicale, S&B assorbe la capacità straordinaria di una cólta popolarità che punta all’orecchiabilità di arie che si aprono come oasi riflessive sul diagramma narrativo, seducendo lo spettatore, in qualche modo abbassandone le difese intellettuali per assestare meglio, attraverso l’immediatezza fisica della musica, del ritmo, della rima, la visceralità di quanto detto e narrato.
Possibile che una commedia musicale sappia raccontare una tragedia politica, anzi addirittura una storia d’amore e anarchia? Più che West Side Story, ispirato proprio a Romeo e Giulietta, il pensiero va a opere rock come Hair o, dalle nostre parti, Orfeo 9, che raccontano la tragedia di morti giovani contro sistemi soverchianti di vario tipo. Ma qui e ora, lontani dagli anni più scalpitanti del musical politico, e sedotti da forme di spettacolo musicale dove regnano soprattutto bontà e amore, o al limite apologhi sentimentali tra Fantasmi dell’Opera e Gobbi di Notre-Dame, l’impatto delle canzoni di S&B è davvero spiazzante e stimolante, perché spinge a ripensare alla qualità e potenzialità politica di una scelta espressiva così precisa. Tuttavia sarebbe un errore limitare le ascendenze musicali a quelle più eclatanti dell’opera pop. Le canzoni scritte da Babina e musicate da Fiori, infatti, sembrano dichiarare fin dai titoli (Canzone o Ballata), ma soprattutto per i contenuti, una doppia e preziosa ascendenza: da una parte la tradizione storica delle canzoni anarchiche dall’800 in poi (che, non a caso, qui è esplicitata dalla riproposizione rivelatrice del classico L’interrogatorio di Sante Caserio), e dall’altra l’imprescindibile lezione di Fabrizio De André, della sua scrittura musicale e poetica, del suo impegno anarchico. Dunque, non è tutto Broadway quel che gorgheggia, perché la tradizione musicale anarchica, dalla ballata al cantautorato, mostra come quella sia una strada estremamente coerente per realizzare un discorso politico: politico in quanto popolare nella sua capacità di arrivare con la musicalità a trasmettere una storia, un’emozione, e soprattutto un’idea. S&B si trova dunque nella sottile condizione di congiungere la tempra dei cantastorie affabulanti negli angoli di paese con il mainstream seduttivo del cinemascope.

Tutto bello, tutto vero, non fosse che tutto questo rimane solo testo e musica, senza spettacolo: com’è possibile? S&B è infatti un libretto per un’opera in 3 atti, dove dialoghi e canzoni si alternano, così come le azioni, in un brulicare di personaggi individuali e collettivi, eppure lo spettatore non assiste ad alcun spettacolo in senso tradizionale, perché l’allestimento consiste in sole tre persone, sedute, di fronte a microfoni e attrezzatura sonora, che per due ore danno musica e voce, interpretando staticamente tutti i personaggi e le canzoni. Sgombriamo subito il campo da un inevitabile dubbio: dal punto di vista meramente spettacolare è una sfida notevole, ma è ampiamente riuscita grazie alle doti e ai virtuosismi interpretativi di Babina e Serena Abrami, affiancati dallo stesso Fiori che esegue i brani accanto a loro, un po’ musicista un po’ rumorista.
Lo spazio, ristretto in una bidimensionalità accentuata, è quello di una sala di registrazione, dove si siedono, appunto, i tre dando la faccia al pubblico. Gli attori, con le cuffie alle orecchie, recitano e cantano leggendo dai loro computer e manovrando sintetizzatori per modificare la voce a seconda del personaggio. Solo una volta Abrami si alza e abbandona la postazione, proprio per cantare a cappella la vecchia canzone anarchica; e solo una volta Fiori si alza e si stende a terra, per accompagnare le parole di Sole in galera con un’armonica amplificata, ridotta a un’unica straziante nota senza soluzione. Tutti e tre indossano una camicia gialla, gialla forse per richiamare il sole contenuto nel nome della Giulietta anarchica e il lampo nel nome del suo ragazzo, e una cravatta nera, nera come il colore ufficiale del movimento anarchico, ma chissà perché a me fa venire in mente ancora De André e il suo Bocca di rosa: “C’era un cartello giallo / Con una scritta nera / Diceva: Addio Bocca di Rosa / Con te se ne parte la primavera”. E allora addio Bocca di Rosa, addio Sole, addio Baleno, scomparsi in una primavera di tanti anni fa.
La maestosa macchina drammaturgica e musicale suggerisce senza alcun dubbio un esito fortemente spettacolare, in forma teatrale o cinematografica. È inevitabile che ogni spettatore trasponga mentalmente il flusso verbale e canoro in proiezioni filmiche, complici molti accorgimenti e molte trappole (una per tutte: la lettura della lettera inviata da Sole a Baleno in prigione, letta in una dissolvenza incrociata tipicamente cinematografica). Dunque, lo scarto tra l’imprinting genetico dell’opera e la sua realizzazione è formidabile e spiazzante. Ed è forse qui che si manifesta un ulteriore e più sottile dispositivo politico, prima ancora che teatrale: se il sistema della lettura al microfono e del musicista in scena è sempre più presente nell’attuale teatro contemporaneo, da certe forme di teatro documentario alle più estreme forme di sperimentazione e contaminazione dei media, qui la scelta scenica si offre a letture più stringenti.

Di fatto, quella che va in scena non è una storia, non è la rappresentazione di quella storia e non è neanche il suo racconto, ma il doppiaggio di una rappresentazione. Davanti allo spettatore viene rappresentato il doppiaggio di un film che sta solo nella testa dello spettatore, o di uno spettacolo che su questa scena non avrà mai luogo. Potrebbe essere un radiodramma, ma è proprio l’osservazione dei due doppiatori e del musicista-rumorista a dare valore a questa scelta. I fatti storici sono evaporati, perfino la loro rappresentazione è evaporata; ciò che rimane è la voce, e a testimoniarlo sono performer apparentemente freddi e professionali nella riproposizione di un testo che viene letto e cantato come fanno i doppiatori di fronte allo schermo.
Lo spettacolo si sottrae dunque proprio a quel sistema spettacolare che sembra suggerire, marcando uno scarto di grande potenza: laddove parole, canzoni, musica e didascalie (proiettate su un piccolo schermo verticale alle spalle dei performer) suggeriscono l’impatto di un’opera musicale di grande respiro, tutto questo viene sottratto alla vista e distillato nella mera sonorità e soprattutto nella fissità dei tre esecutori. Non è una mise en espace, non è un’ipotesi scenica in attesa di attuazione: è il sogno di una cosa, è l’utopia di uno spettacolo che assume coerentemente l’aspetto di quel sogno e di quell’utopia che sostiene i giovani anarchici protagonisti. Ma soprattutto, nell’obbligare lo spettatore ad assistere a questa smisurata sessione di doppiaggio si ottiene il risultato forse più genuinamente politico – e proprio in senso anarchico – di S&B: lo spettacolo è demandato alla responsabilità dello spettatore. L’autoralità dello spettacolo visivo e fisico è dello spettatore: sono la sua fantasia, la sua intelligenza, la sua emotività, la sua competenza, la sua invenzione, la sua libertà a dare forma e corpo a Sole e Baleno, a tutti i personaggi, alla fiera e alla prigione, agli ambienti e alle coreografie: sta tutto nella sua testa, sta tutto nella sua capacità creativa. Il senso anarchico della libertà dell’individuo si riflette, insomma, nella responsabilità dello spettatore nel ri-creare, con e attraverso la sala di doppiaggio e le voci dei performer, la storia raccontata, plasmandola in forma di teatro impalpabile, personale, unico, puro. Il teatro nella testa e il suo doppiaggio: un’esperienza di libertà, che ridà dignità a due giovani vite, con la luce nel nome e un destino di eroi shakespeariani loro malgrado.
S&B – Sole e Baleno (una favola anarchica) testo Pietro Babina; musica Alberto Fiori; in scena Serena Abrami, Pietro Babina, Alberto Fiori; scenografia Pietro Babina; produzione Mesmer e Compagnia Orsini con il contributo di Comune di Bologna, con il sostegno di Ravenna Teatro, Agorà, Spazio Zut, Culturara/Casa della Cultura Italo Calvino, Mismaonda, Giordano Bruno; foto di Claudia Marini. Prima assoluta: Ravenna, Teatro Rasi, aprile 2024.
Visto a: Bologna, Arena del Sole, 31 gennaio 2025.