L’apocalisse per un pop-corn

All’uscita dallo spettacolo, una spettatrice bambina lascia sul quadernone per il pubblico la domanda definitiva: “Tutta questa apocalisse per un pop-corn?”. Perché quello che aveva potuto vedere fino a pochi minuti prima era davvero questo: la distruzione totale (dell’umanità, della natura) per l’accaparramento di una manciata di pop-corn. La futilità dello scopo che scatena, letteralmente, il finimondo. Di Nunc della compagnia Brat avevo già parlato quando, in forma di work in progress di 20 minuti, aveva partecipato al Premio Scenario Infanzia due anni fa, vincendolo. A spettacolo compiuto può essere interessante ragionare nuovamente su questo lavoro, destinato a un pubblico infantile dai 6 anni in su, e ugualmente godibile dagli adulti, perché il suo compimento innesca altre considerazioni, forse più amare e al contempo più interessanti se rapportate proprio a un pubblico di quell’età.
Infatti, uno dei pregi maggiori di Nunc è il linguaggio, ovvero la scelta di esprimersi, pur senza alcuna parola, rievocando la narrazione epico-poetico-profetica del mito, costruendo nell’arco di un’ora l’intera evoluzione che parte dall’origine di tutto alla sua fine – diciamo dalla Genesi all’Apocalisse – attraversando la Storia. Un respiro concettuale ed epocale da far venire i brividi, sia per l’ambizione totalizzante del progetto, sia per la complessità da ridurre a racconto per l’infanzia. Nel 1935 Ernst Gombrich, poco più che ventenne, si mise a scrivere nientemeno che una Breve storia del mondo, dove il confronto nel titolo tra l’oggetto “storia del mondo” e l’aggettivo “breve” che lo accompagna suona al tempo stesso affascinante e umoristico: una sfida audace e sbarazzina. Nunc ha la stessa caratteristica di sfida audace e sbarazzina nel momento in cui porta in scena una breve storia dell’umanità, che all’intento implicitamente pedagogico unisce il respiro atavico e senza tempo dell’epos mitologico. Una  mitopoiesi: classica, semitica o nordica, poco importa, visto che tutte sono accomunate dalla descrizione di un inizio paradisiaco e pre-storico (una Creazione), un doloroso ingresso nella Storia e nel mondo fisico, e un finale devastante e punitivo.

Ecco, la scelta di una narrazione di questo tipo, mitica, evocativa, misteriosa e spietata, costituisce uno dei pregi maggiori di Nunc: una fiaba per bambini che innesca un pensiero che rimanda all’assoluto universale e che tutti gli adulti dovrebbero (ri)vedere. Non la fiaba con il personaggio in cui identificarsi e quello da temere, non la fiaba che mette in relazione noi con l’altrove, non la fiaba che si presenta come una parentesi appagante (dal “C’era una volta” al finale del ritorno all’ordine, qualunque esso sia). Bensì il mito con il respiro e i brividi del libro profetico, senza personaggi ma con figure che precedono la loro identificazione, non in un altrove rappresentabile ma in uno spazio assoluto e quasi metafisico e certamente non rapportabile all’esperienza quotidiana, e soprattutto un mito che – proprio grazie alla sua forza epica – non si pone come ‘parentesi’ narrativa, ma come rivelazione fantasmatica, se non esoterica, dell’equilibrio universale di Ordine e Disordine. Tutto questo in uno spettacolo divertente e senza parole, per giunta creato per l’infanzia. Che partecipa affascinata. E riesce, come nella sintesi della domanda riportata all’inizio, a cogliere il senso profondo di questa breve storia dell’umanità, nell’equilibrio concettuale tra l’apocalisse (e la vertigine che rappresenta) e il pop-corn (con la sua effimera inconsistenza).
Come scrivevo nel mio precedente intervento, Nunc ci porta in una waste land originaria, una scenografia materica che è una distesa deserta di terra, oppressa da una nebbia aurorale. Qui abitano tre figure pre-umane mascherate. Le maschere sono imponenti, forse un po’ inquietanti, ma non paurose, semmai grottesche, quasi caricaturali, bizzarramente terrigne, diverse una dall’altra per restituire leggere differenze caratteriali, dal colore scuro che si uniforma alle grandi tuniche indossate: da una parte, ricordano buffamente i Jawa di Guerre stellari, oppure anche le maschere dei mamuthones, con cui condividono il brivido di un’era arcaica in cui poter riconoscere le nostre radici, lontane da noi eppure dai comportamenti così simili.

Assistiamo ai goffi tentativi delle tre figure di cibarsi, in una lotta per la vita che ha il claudicare misero di un’umanità derelitta o primitiva, e però vitale, mentre zompettano sul terreno polveroso agitando utensili  – una pentola, un colino e uno scolapasta – di cui cercano di capire il funzionamento, in costante ricerca di insetti, che poi ingollano emettendo bizzarri gorgoglii. Finché il pauperistico vagabondare delle tre figure è interrotto dall’improvvisa, folgorante apparizione di una cosa, che irrompe inspiegabilmente come gli oggetti dell’Atto senza parole di Beckett, e si offre fascinosamente come il monolite di 2001 Odissea nello spazio: un forno a microonde, mito d’oggi, totem del consumismo, anzi dio assoluto di una modernità che squarcia il lento susseguirsi di un tempo arcaico e naturale, accelerando i processi, in un cortocircuito folgorante e insidioso. Presto le tre figure imparano il funzionamento dell’apparecchio e il suo collegamento con il frutto della terra, quel mais che altrettanto misteriosamente (portato da un ‘invisibile’ deus ex machina che dispensa i beni della terra) cresce dal suolo.
La ‘scoperta’ dell’agricoltura e di un diverso valore della terra come fonte di benessere porta all’ingresso nella Storia e, come ha detto Rousseau (“Il primo uomo che, avendo recinto un terreno, ebbe l’idea di proclamare questo è mio, e trovò altri così ingenui da credergli, costui è stato il vero fondatore della società civile”), innesca la proprietà privata (un furto, diceva Proudhon) e, di conseguenza, l’egoismo, il conflitto, la guerra. Le tre figure che fino ad allora avevano condiviso ogni sofferenza e ogni piacere si ritrovano nemiche, non – si badi – per spartirsi egualitariamente un’unica fonte di cibo, ma per accaparrarsene ciascuno sempre di più e privare gli altri. Insomma: l’avidità e la sopraffazione che innescano la violenza e la distruzione, spiegate ai bambini. Non esattamente “l’apocalisse per un pop-corn”, ma il quotidiano protrarsi di una Storia di violenza per avere più pop-corn degli altri e condannare i più deboli alla carestia e alla fame. L’oggetto neutro che, come si rese conto ben presto Nobel con la sua invenzione, muta valore a seconda del suo uso diventa feticcio e simbolo del fallimento dell’umanità, con la stessa sadica spietatezza degli oggetti beckettiani dell’Atto, guarda caso anch’essi destinati a determinare il destino dell’uomo ricattandolo con la fame e la sete.

Come si intuisce, temi profondi e importanti intrecciano il filo complesso della Storia con quello altrettanto urgente della natura e del disastro ambientale, che ovviamente è intrinsecamente collegato con il primo. La questione portante della svolta epocale che stiamo vivendo, ovvero la corsa forsennata all’accaparramento dei beni alimentari, concepita non in termini di evoluzione collettiva ma di sfruttamento e di sopraffazione delle popolazioni più deboli, è raccontata ai bambini senza alcun didascalismo, ma con una profonda tensione etico-didattica e un’altrettanto profonda consapevolezza teatrale e narrativa, che punta sulla semplicità e linearità della ‘trama’, non per semplificare ma per riportare la questione proprio a un’idea di narrazione mitica e ludica. Una scelta narrativa tanto ‘facile’ quanto potente, proprio perché si misura con la dimensione miticamente temporale dei millanta secoli che hanno trasformato l’uomo da animale di una tribù inserita nella circolarità naturale del tempo a membro di tante società che spezzano il legame con la natura e creano la Storia basandosi sulla rapacità, la prevaricazione, lo sfruttamento e lo sterminio dell’altro.
Quella landa desolata su cui vengono martirizzati i corpi a causa dell’avidità ha la stessa tragica assolutezza del barbaro e cupo finale del film Greed (avidità, appunto) di Stroheim. Il già citato Rousseau l’ha saputo dir meglio e in modo più icastico. Come icastico è il linguaggio performativo usato in Nunc, con l’intreccio di una rigorosa fisicità, di una suggestiva ambientazione visiva e di una raffinata drammaturgia sonora, capaci di ‘bucare’ l’attenzione dei bambini, dosando la pantomima con i più sottili e scaltri guizzi delle gag comiche mentre l’Angelo della Storia avanza… mangiando pop-corn.

Mangiando pop-corn proprio come gli spettatori, che entrando in teatro avevano trovato ciascuno al proprio posto un sacchetto di pop-corn, sgranocchiato allegramente durante lo spettacolo. Un elemento di ‘disturbo’ per l’attenzione (oggettivamente fastidioso), ma anche di alleggerimento della cupezza, e ancor più sotterraneamente di condivisione del tema. Perché alla fine è inevitabile rendersi conto che il pop-corn, che stiamo mettendo in bocca come fossimo in una multisala cinematografica, è lo stesso da cui è scaturita la violenza e l’apocalisse vista in scena. Obbligandoci così a riflettere sul legame dello spettatore del ventunesimo secolo con le figure pre-storiche che hanno inaugurato la modernità con l’oppressione dei loro simili. Perché poi tutto quel che abbiamo detto ci parla sì della breve storia dell’umanità, ma anche e soprattutto dei tanti piccoli momenti in cui quotidianamente litighiamo con il compagno di classe o l’amico per avere qualcosa in più di lui anziché imparare a condividere fraternamente il proprio ‘pop-corn’. Perché la Storia siamo anche noi.

Nunc, creazione collettiva di BRAT; regia Claudio Colombo; aiuto regia Michele Guidi; contributo narrativo Pier Lorenzo Pisano; con Agata Garbuio, Claudia Manuelli, Irene Silvestri, Paolo Tosin; maschere e costumi BRAT; scene Claudio Signorini di TuttaScena; suoni e musiche originali Paolo Tosin; luci Massimo Galardini; produzione Teatro Metastasio di Prato; collaborazione produttiva BRAT; con il supporto di Scenario ETS, L’Arboreto – Teatro Dimora | La Corte Ospitale – Centro di Residenza Emilia-Romagna, La Piccionaia – Centro di Produzione Teatrale.
Visto a: Bologna, Scenario Festival, DAMSLab Teatro, 4 settembre 2024.

Fotografie di Malì Erotico.

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