Il tempo del rito nel “Sacre” di Virgilio Sieni

Virgilio Sieni - Le Sacre 1
Virgilio Sieni, “Le Sacre: Preludio” (foto Rocco Casaluci)

Il nuovo spettacolo di Virgilio Sieni ci interroga sul tempo. Piega i corpi, i movimenti, la serata stessa nella quale raccoglie i suoi spettatori, piega tutto quanto a una interrogazione sul tempo. Fino a farci chiedere cosa possa scandire il tempo misterioso dell’intervallo tra l’iniziale Preludio di Roccato e La sagra della Primavera di Stravinskij: cosa sia accaduto lì in mezzo, nella naturale disattenzione di quel non-tempo che è l’intervallo, perché è proprio lì, invece, che è accaduto qualcosa, perché quello è il centro esatto di uno spettacolo unitario che si intitola Le Sacre, ossia “Il rito”, che racchiude Preludio e La sagra della Primavera… e l’intervallo. E’ dunque nella sua unitarietà che va visto questo lavoro, che ha debuttato al Teatro Comunale di Bologna nell’ambito del focus Nelle pieghe del corpo_Bologna dedicato a Sieni.

Il tempo dell’intervallo è quello che fa da cesura e, insieme, da collante tra la prima e la seconda parte. Tiene insieme e distanzia due movimenti vorticosi che agiscono sul tempo. Il primo scava negli archetipi del movimento coreutico, si insinua nella tradizione centenaria della danza libera, con i piedi ben piantati nella ricerca di Laban, inseguendo posture liberty e coreografie che sembrano schizzare sull’ingessato palco all’italiana dagli ariosi orizzonti anarchici del Monte Verità; e però, al contempo, sostiene i corpi e i gesti con la musica contemporanea di Daniele Roccato e il suo contrabbasso dissonante e amplificato. Le sei danzatrici, che sembrano provenire da un altrove temporale centenario, dialogano con i suoni del ventunesimo secolo di Roccato e con lo sguardo dello spettatore, che si muove da sinistra verso destra: la fila delle danzatrici, in perpendicolare rispetto al boccascena, sta sulla sinistra del palco e avanza impercettibilmente verso il centro, facendo emergere da una memoria primigenia del corpo i movimenti primari, secondo un flusso rilanciato da una all’altra, ma ciascuna con una propria drammaturgia fisica e con una propria “invenzione” del gesto. Il flusso è temporalmente progressivo, verso destra, cioè in avanti, diciamo verso il futuro. Ma quei gesti e quei movimenti rimandano a un passato ingiallito, ancorché fulgido: le posizioni assunte e mantenute dalle danzatrici – nude come le sculture classiche, neoclassiche, liberty, nude come Eva nel Paradiso Terrestre moltiplicata 6 volte – sembrano gruppi scultorei degli inizi del 900, cariatidi di edifici monumentali, decorazioni di pitture o affreschi simbolisti. La luce stessa, bassa, quasi fioca, stempera la fisicità nuda dei corpi in una distanza quasi fantasmatica, come se quei corpi riemergessero dal sonno del tempo per mostrare nuovamente a noi una ritualità perduta, in pose statuarie, in gruppi plastici, costruendo ghirigori grafici o girotondi naif. Ma in quella stessa atmosfera quasi archeologica – e però forsennatamente viva, pulsante, dove agiscono corpi inequivocabilmente moderni – abita una musica diversa, che stride in maniera dinamica, dialettica, con il tempo antico del movimento primigenio. Il tutto adagiato su un tappeto rosso fiammante, che a sua volta rimanda a una dimensione temporale irreale: diciamo mitica o fiabesca. E allora, vedendo questo Preludio, in quale tempo siamo? Nella contemporaneità suggerita dalla musica, nella corporeità arcaica delle danzatrici, nel tempo anti-reale evocato dal tappeto rosso fiammante? La riduzione degli elementi aiuta a confrontarsi con questa prima parte sotto il segno della rarefazione e dell’essenzialità. Il tempo, strattonato verso il passato nei movimenti, ma anche verso il contemporaneo e verso l’irreale, sembra sospendersi e girare su sé stesso, come nel girotondo ironicamente bucolico. Il rito, le sacre a cui ci troviamo ad assistere stasera inizia destabilizzando la nostra percezione del Tempo, trasferendola in un altrove senza riferimenti certi, o meglio con riferimenti contraddittori. E arriva l’intervallo.

Virgilio Sieni - Le Sacre 2
Virgilio Sieni, “Le Sacre: La sagra della Primavera” (foto Rocco Casaluci)

Qualcosa deve essere successo tra il Preludio e La sagra della Primavera, ma non lo sapremo mai, perché quando quest’ultima ha inizio, è fortissima la sensazione di continuità rispetto alla prima parte e, al tempo stesso, di discontinuità. O meglio: la seconda parte sembra un rispecchiamento alterato della prima. Tutto si modifica, ma solo per mostrare meglio gli elementi di continuità; cosa che può essere detta anche al contrario: tutto si mantiene, ma solo per mostrare meglio gli elementi di discontinuità. E il tempo, ancora, ci scaraventa nel vortice delle stesse ambiguità viste nel Preludio. I gesti e i movimenti, adesso, non sembrano più provenire da un tempo storico antico (o da un tempo personale originario), ma sembrano – semplicemente – essere: come se alla fase sorgiva della prima parte succedesse ora una fase matura e attiva. Così, allo stupore delle 6 danzatrici per la scoperta del proprio corpo dinamico, succede ora il dinamismo naturale dei 12 danzatori (6 donne e 6 uomini: Eva e Adamo moltiplicati, ma dopo la cacciata dal Paradiso Terrestre, perché non sono nudi, ma con calzamaglie color carne: e dunque non più nel mito, ma nella storia) in un movimento fluido e incessante, dove la drammaturgia personale del corpo di ciascuno si intreccia a quella degli altri in una coreografia che si manifesta come un brulichio composito e irrefrenabile, un ribollire sempre cangiante di posizioni e azioni, pronto a evolvere in frenetico sabba. E’ il tempo attuale, quello della “massa di individualisti” che procede riempiendo lo spazio, solcandolo in tutti i sensi, fino a rispecchiare l’andamento cronologico della prima parte: la fila dei danzatori, infatti, si presenta ora tutta a destra e lo spostamento va verso sinistra, come per risalire indietro nel tempo. Ma è un’illusione, perché nell’attualità (nella storia) il tempo semplicemente è rivoltato, non è più circolare, ma cambia continuamente direzione. D’altra parte, il tempo attuale si incontra con una musica che, al contrario del Preludio, proviene proprio dal passato, e cioè quella di Stravinskij, mentre il tappeto rosso, ancora presente, lancia sulfurei bagliori corruschi sul corpo dei danzatori grazie a luci bianche diventate ora piene e intense, che rimbalzano sul pavimento scarlatto e sulla pelle dei danzatori.

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Virgilio Sieni, “Le Sacre: La sagra della Primavera” (foto Rocco Casaluci)

Il rito, il sabba, è un inno alla vita, alla vitalità, e al tempo stesso presagio diabolico di un’umanità dannata, che si staglia di fronte a noi in parate bidimensionali, come metope o altorilievi monocromatici, oppure in sfondamenti dei piani di superficie, un po’ alla Géricault (negli ultimi momenti dello spettacolo la collettività dei danzatori tende alla forma piramidale, ricordando il disegno della Zattera della Medusa). Altro che Primavera! Il tempo implode, azzerando le stagioni: la corsa forsennata dei muscoli in tutte le direzioni porta a uno stallo implacabile: quello annunciato in molti momenti di staticità (nei quali i danzatori, fermi sul posto, marcano il ritmo – e dunque il passare inane del tempo – molleggiandosi lievemente sulle ginocchia) e quello dichiarato alla fine, in una statica frontalità che ferma definitivamente il tempo.

 
 

Le Sacre: Preludio, musica Daniele Roccato; interpretazione e collaborazione Ramona Caia, Claudia Caldarano, Patscharaporn Distakul, Sharon Estacio, Giulia Mureddu, Sara Sguotti; La sagra della Primavera, musica Igor Stravinskij; costumi Virgilio Sieni e Giulia Bonaldi; interpretazione e collaborazione Jari Boldrini, Ramona Caia, Claudia Caldarano, Nicola Cisternino, Patscharaporn Distakul, Sharon Estacio, Maurizio Giunti, Giulia Mureddu, Giulio Petrucci, Rafal Pierzynski, Sara Sguotti, Davide Valrosso. Coreografia Virgilio Sieni; direttore Felix Krieger; luci Virgilio Sieni e Fabio Sajiz. Orchestra del Teatro Comunale di Bologna. Produzione Teatro Comunale di Bologna e Compagnia Virgilio Sieni. Prima assoluta: Bologna, Teatro Comunale, 7 marzo 2015.

Visto a: Bologna, Teatro Comunale, 10 marzo 2015.

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