Cappuccetto Rosso e l’agnello

“Peurbleue” (foto Ilaria Sentuti).
“Peurbleue” (foto Ilaria Sentuti).

Che colore ha la paura? Nero, direbbe un bambino. E quale suono ha? Quale forma? Quale sostanza? Quale corpo? Il nuovo spettacolo di C&C Company, ancora in fase evolutiva di studio, ma già presentato in una versione sostanzialmente definitiva, riempie di domande quel nero temuto dall’infanzia, interrogando lo spettatore sulla paura dei nostri giorni, che per un europeo ha assunto simbolicamente i tre colori della bandiera francese. Peurbleue, che gioca con l’interiezione “parbleu!”, si lega esplicitamente al 2015 di terrore a Parigi, iniziato in gennaio con le stragi alla redazione di Charlie Hebdo e all’Hypercacher e concluso in novembre con quelle del Bataclan e dei ristoranti. I tre colori e l’uso della lingua francese sono il rimando esplicito alla cronaca, ma lo spettacolo racconta altro.

 

La paura è il sentimento attraverso cui un bambino può conoscere l’ignoto, e allora Peurbleue ci racconta questo sentimento attraverso fiabe adulte. Lo spettacolo è diviso in tre parti, anzi tre fiabe, ma nessuna di esse racconta davvero la paura, semmai il noto: perché se è l’ignoto a muovere la paura del bambino, non c’è dubbio che oggi è il noto a ingigantirsi in forma di fantasma minaccioso nelle paure adulte nell’epoca del terrorismo globale. Tre fiabe. E ogni fiaba ha un colore, che si staglia sul nero assoluto della scena che ingloba la paura infantile, e che sarà supporto visivo alla paura adulta.

La prima fiaba è Cappuccetto Rosso. E’ lei che attraversa lo spazio, abitandolo e arredandolo di oggetti, tutti rigorosamente rossi e scarlatti. Certo, sarà un caso che la musica sia di Alessandro Scarlatti e che il titolo sia Il giardino di rose, ma è inevitabile osservare il fiorire di un giardino di “rose”, come i garofani di Nelken di Pina Bausch, che sono in realtà prodotti da supermercato, accompagnati dal bip delle casse. Cappuccetto Rosso traccia in questo modo la sua mappa consumistica postmoderna, rassicurante come la strada nel bosco che conduce alla nonna, e della quale riconosciamo con divertimento la quotidiana fenomenologia: flaconi, bottiglie, guanti, palette ammazzamosche… E’ la fiaba della costruzione prefabbricata del proprio destino, ligio alla società capitalista, dove gli oggetti formano percorsi in un labirinto consumistico che ci è familiare e nel quale ci perdiamo, perdendo anche le parole per riconoscerlo e riconoscerci: Cappuccetto si smarrisce alla ricerca di un prodotto che non sa nominare, chiedendo aiuto a qualcuno. Qui, forse, c’è un po’ di paura – paura rossa – per non riuscire a essere coerente con il proprio destino di consumatore e, forse, per aver abdicato a un destino più alto. E su questo stallo, su questa afasia funzionale, su questa sconfitta dell’individuo perso nel bosco dove il lupo lo attende per divorarlo, si chiude la prima parte. Con una cascata rossa. Una cascata di caramelle rosse (le mitiche “Rossana”), perché si sa, le caramelle degli sconosciuti sono pericolose e possono diventare altro: sangue.

“Peurbleue” (foto Chiara Ernandes).
“Peurbleue” (foto Chiara Ernandes).

Le caramelle insanguinate rappresentano l’irruzione dell’inatteso: la strage, appunto. Cambia il colore, cambia la fiaba. Adesso Cappuccetto si toglie la veste rossa e si mostra in blu, e tutta l’attenzione dello sguardo è focalizzata su un corpo che sembra andare in mille pezzi, lentamente, in un ralenti straziante più di sorpresa – paura blu – che di dolore. In una sala del museo Madre di Napoli è allestita una scultura-installazione di Luigi Mainolfi, Senza titolo (Esploso): un angelo o un Icaro che durante il volo è squarciato da un’esplosione nel centro del corpo, e i suoi mille frammenti sono scaraventati sulle pareti della stanza. Cappuccetto sembra essere diventato quell’Icaro, schizzato via dal labirinto consumistico dei prodotti del supermercato e inondato, per hybris, dalle caramelle insanguinate che lo polverizzano. L’allusione alla strage terroristica, che è il motore dichiarato dello spettacolo, si fonde – forse inconsapevolmente – con una dimensione tragica, che racchiude l’esistenza contemporanea. L’Icaro Blu di Chiara Taviani e Carlo Massari è uno-come-noi vittima di un’esplosione improvvisa, ma è anche noi-stessi vittime di un’implosione tutt’altro che improvvisa. Il corpo di Icaro si contorce, dunque, più nella rappresentazione del suo smembramento che in quella del dolore: c’è quasi sorpresa sul suo volto. Tutt’attorno, sulla scena, le caramelle e le “rose” rosse sembrano i frammenti corporei scolpiti da Mainolfi: tante tessere di un puzzle impossibile da ricomporre, come un enigma archeologico: come se noi stessi, oggi, fossimo enigmi archeologici di fronte all’irruzione della barbarie violenta o all’insinuante infiltrazione di una modernità melliflua. Ma è ora di cambiare fiaba. E colore.

Luigi Mainolfi, "Senza titolo (Esploso)".
Luigi Mainolfi, “Senza titolo (Esploso)”.

Cappuccetto-Icaro indossa ora una casacca di lana bianca, trasformandosi in agnello. Su un microfono sputa uno scioglilingua inarrestabile e demenziale, in inglese, che combina in tutti i modi le parole “fight” e “right”. Come una giornalista confusa in un orgasmo di slogan dove parole così pesanti sono completamente svuotate di senso, ridotte a fonemi, a tiritera infantile, anzi a schermo propagandistico per stordire le nostre coscienze: lottare per i diritti, umani magari, è la parola chiave di un terrorismo di senso opposto, quello che trasforma le vittime occidentali in carnefici nelle terre d’Oriente. Come lupi vestiti da agnelli. Come in una favola di Esopo virata in trip psichedelico: paura bianca. L’agnello che non sa più parlare vomita suoni che un tempo furono nobili (“fight”, “right”) e che ora sono solo eco, pretesto, alterazione di senso: dietro quei suoni si nasconde una verità rimasta incomprensibile; dietro quei suoni è pronta un’azione che non saremo in grado di comprendere. Lo sconcerto dell’uomo medio di fronte all’inesplicabile atto terroristico diventa balbettìo, e al tempo stesso quel balbettìo diventa impalcatura per atti inesplicabili. La parola “right” suona beffarda, e non solo perché trasformata in puro refrain: scatta il cortocircuito con l’inizio dello spettacolo. Quali sono i diritti di Cappuccetto che l’esplosione aveva tentato di cancellare e a cui l’agnello si richiama? Forse il diritto di consumare? E’ questo il valore occidentale che stiamo difendendo?

Lentamente l’agnello-lupo si ritrae verso il fondo, calpestando le caramelle di Icaro smembrato, rinchiudendosi nel giardino di rose scarlatte di Cappuccetto consumatore, come un animale rifugiato nella sua tana per leccarsi le ferite e prepararsi a balzare nuovamente all’esterno. Lentamente si ritrae nel buio. Nel nero. Nel colore definitivo della paura.

 

 

 

Peurbleue, di C&C Company (Carlo Massari e Chiara Taviani); con Chiara Taviani; disegno luci Violeta Arista; produzione Residenza Idra; e con il supporto di: Carrozzerie N.O.T, Teatri di Vita e Pim OFF. Prima rappresentazione dello studio: Bologna, Teatri di Vita – Sala Studio, 17 dicembre 2015.

 

Visto a: Bologna, Teatri di Vita – Sala Studio, 19 dicembre 2015.

 

 

 

 

 

 

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