È uno strano destino quello di Pier Vittorio Tondelli, diventato rapidamente icona trasgressiva dei suoi tempi e altrettanto rapidamente scomparso dall’attenzione dopo la morte precoce. Quando 15 anni fa a Teatri di Vita decidemmo di intitolare la seconda sala proprio a lui (la prima era intitolata a un altro Pier: Pasolini), furono in molti a cercare di ricordarsi chi fosse: ed erano passati solo dieci anni dalla morte. Oggi, dedicargli l’autunno 2016, sempre a Teatri di Vita, è forse un azzardo ancora maggiore. La stagione teatrale, che inizierà il 13 ottobre e si concluderà il 23 dicembre, ha il titolo Una stagione postmoderna, che riecheggia il titolo di un suo libro, e sarà ricca non solo di spettacoli di una ‘normale’ stagione, ma anche di appuntamenti “tondelliani” con film, concerti e “testimoni” speciali, per concludersi con la ripresa dello spettacolo di Andrea Adriatico Biglietti da camere separate che rilegge la sua ultima opera.
Forse è tutto frutto di un equivoco. Lui, scrittore genuino e raffinato di grande cultura, approdato a Bologna a studiare al Dams dalla profonda provincia reggiana, era balzato agli onori della cronaca per il sequestro giudiziario “per oscenità” del suo primo libro, Altri libertini (1980), che descriveva le irrequietezze trasgressive della gioventù emiliana, creativa, godereccia e disperata, tutta sesso droga e rock’n’roll, con i piedi piantati nella grassa Padania e lo sguardo e il cuore lanciati verso l’Europa. Fu un caso clamoroso (poi risolto con l’assoluzione) e Tondelli, allora solo 25enne (era nato il 14 settembre 1955 a Correggio), si ritrovò al centro dell’attenzione mediatica: vate della trasgressione, suo malgrado. Fu il primo equivoco: una generazione credette di trovare in lui un faro, ma Pier – anzi Vicky per i suoi primi amici – era “soltanto” uno scrittore. Sapeva osservare la realtà che lo circondava, sapeva interpretarla e soprattutto sapeva raccontarla, con precisione di linguaggio (trasformando il gergo giovanile in lingua letteraria) e sapienza narrativa.
Strappato dal suo carattere quasi pudìco, fu subito conteso da giornali e riviste, dal “Resto del Carlino” a “Linus” fino a “Rockstar”: i suoi articoli, capaci di cogliere con leggerezza, ma anche con acume, i fermenti culturali e le contraddizioni sociali di quel periodo, vennero poi raccolti nel volume Un weekend postmoderno. Cronache dagli anni ottanta. Intanto usciva il suo secondo romanzo Pao Pao, racconto di incontri gay durante il servizio militare, che portò al secondo equivoco: divenne suo malgrado icona del movimento gay, quando invece lui, pur non nascondendo la sua omosessualità, la viveva in modo più intimo e riservato (al punto da ‘autorizzare’ qualcuno a sostenere, negli ultimi anni, che la sua omosessualità fosse soltanto una simulazione!). E intanto sperimentava nuove strade, come il teatro (in realtà uno dei primi amori, fin da quando da adolescente aveva riscritto Il piccolo principe per una recita nel suo paese), per il quale scrive Dinner party, che rimane la sua unica prova drammaturgica.
Fu il romanzo Rimini, nel 1985, accanto ai suoi numerosi articoli giornalistici (raccolti in Un weekend postmoderno), a consacrarne definitivamente l’immagine di testimone di quegli anni ’80 del riflusso più o meno godereccio, che seppe descrivere con acutezza e fantasia, con indulgenza e spietatezza. Un best seller che replicò, sia pure con un segno diverso, il successo di Altri libertini. Entrò, ancora suo malgrado, nel baraccone delle icone degli anni “da bere”, a cui cercò di sottrarsi con la scrittura, sempre più intima e intensa. Come quella di Biglietti per gli amici, “piccola” raccolta di brevi frammenti rivolti ad alcune persone nominate solo con le iniziali: un libro “personale”, che unisce sommessamente il mai sopito contrasto tra spazio pubblico e spazio privato che attraversa l’intera vita di Tondelli.
Ma soprattutto riuscì a sottrarsi all’immagine troppo stretta dell’autore trendy, pronto a essere immolato sul rapido consumo di libri da hit parade, con un’impresa davvero unica per un giovane scrittore: diventare talent scout di scrittori ancor più giovani. Il progetto Under 25 scosse le dinamiche della società letteraria italiana: una dopo l’altra, le antologie volute da Tondelli e pubblicate da Transeuropa rivelarono nuove firme, da Giuseppe Culicchia a Silvia Ballestra a Gabriele Romagnoli. E a questo seguì un altro importante progetto, la rivista “Panta”.
Stranamente dall’ampio orizzonte dell’impegno di Tondelli rimane lontano il cinema. Non che non ci avesse provato: Sabato italiano, il film diretto da Luciano Manuzzi e uscito dopo la sua morte, è basato su un suo soggetto e abbozzo di sceneggiatura, in cui l’ambiente del romanzo Rimini si comprimeva sullo sfondo di un’apocalisse. Ma curiosamente nessun regista o produttore ha finora cercato di portare sullo schermo uno dei suoi racconti e romanzi.
Se qualcosa rimane oggi di Tondelli non è solo e non è tanto nel merito delle sue opere di cantore dello “sballo” generazionale degli anni 70 o della superficialità degli anni 80, quanto e soprattutto nel metodo: osservazione e disciplina di scrittura da una parte, e dall’altra capacità di fare un passo indietro per coltivare i talenti di altri giovani.
E un’altra cosa rimane: la maturità e bellezza di Camere separate, romanzo della ricerca dell’amore, ancora gay e ancora felice e disperato, e soprattutto racconto della perdita e dell’assenza, della malattia e della morte. Un libro che rivela una straordinaria tensione interiore e una grande capacità introspettiva. E auto-introspettiva. Uscì due anni prima della sua morte, avvenuta il 16 dicembre 1991 nella sua Correggio, causata dall’Aids. Un trauma, quello della malattia (e di questa malattia), che lo portò a riavvicinarsi in modo intenso alla religione cattolica, ultimo approdo di una incessante ricerca spirituale, che tra l’altro gli fece ripubblicare Altri libertini dopo averlo spurgato dalle bestemmie e concepire un nuovo progetto letterario sulle Sante Messe.
Aveva solo 36 anni, alla sua morte. Aveva viaggiato il mondo, incarnando il sogno dell’altrove che lo accomunava con molti altri giovani emiliani. Ma sempre ritornando nel suo paese, incarnando il legame riservato e necessario con la sua terra che lo accomunava con molti altri intellettuali emiliani. Non più “icona”, ma scrittore puro, “conteso – come diceva – fra buttarsi fuori e tornare nel silenzio”.
(Questo articolo è uscito, in forma più sintetica, con il titolo Riascoltare la voce di Vicky postmoderno suo malgrado, su “La Repubblica Bologna – Album”, 29 settembre 2016).