Una Madonna al Parlamento Européen

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Angela Dematté in “Mad in Europe” (foto Manuela Giusto)

Cosa ci fa una statua della Madonna in una saletta del Parlamento Europeo adibito a sacrestia? Ah, certo: le radici cristiane dell’Europa. Ma quale Europa? Quella di una storia secolare snocciolata come una filastrocca di nozioni elementari e reminescenze liceali, oppure quella della cronaca impietosa dello smarrimento di senso, di valori, di lingue dell’attualità? Nei giorni in cui l’immagine dell’Europa baluardo di giustizia e libertà è crollata vergognosamente nel fango dei campi profughi balcanici costruiti a ridosso dei muri del benessere e della paura, la Madonna ricompare ancora, non a Lourdes ma nel Parlamento Europeo, anzi Européen. Ancora una volta reietta e incompresa, ancora una volta partoriente, ma non più vergine.

Mad in Europe assorbe, nella costruzione errabonda della sua scrittura e dell’interpretazione della sua stessa autrice Angela Dematté, alcuni snodi centrali riguardo al senso di un’utopia politica religiosamente alimentata e blasfemamente tradita. Sarà per questo che la religione diventa il grimaldello interpretativo per un attraversamento ironico di questioni e umori attorno al tema centrale della maternità, secondo una sensibilità che Dematté aveva già mostrato, per esempio, nel sorprendente Stava la madre del 2013. Perché in scena sta Mad, ossia una matta (“mad”), ma anche diminutivo di Madonna, e che sembra perfino riecheggiare un’onomastica beckettiana. E proprio come la beckettiana Mouth di Non io, Mad sembra consistere nella sua sola logorrea squinternata: un flusso babelico di parole in cui le lingue si confondono, sineddoche miserabile dell’internazionalità che si parla e si respira nel Parlamento Europeo, anzi Européen. Dove tutti sono educati e cortesi, dove nessuno ti prende a manganellate per non rovinare il soffuso clima di ipocrito eden della politica, e dove – quindi – anche una Madonna matta beckettiana come Mad può blaterare a ruota libera lo stupore del proprio sradicamento.

Mad è infatti un relitto dell’apparato impiegatizio del Parlamento Europeo, anzi Européen, una sopravvissuta che ha perso la grammatica, la sintassi, il vocabolario che costituivano la sua stessa identità, e in questo modo si aggira tra gli scranni dell’assemblea legislativa: cittadina europea incapace di ritrovare l’identità linguistica-nazionale, e per sineddoche l’intera popolazione europea incapace di ritrovare una lingua per riconoscere le proprie radici, la propria identità, il proprio discorso. Ma Mad è anche incinta, ingravidata per sbadataggine, sedotta e abbandonata, un po’ come l’Europa mitologica fu sedotta e abbandonata da Zeus trasformato in toro e in aquila. Dunque, Mad ritrova nella Madonna più una consorella, una proiezione, che non una divinità: le mani stese della Madonna (anzi l’unica mano rimasta attaccata alla statua) sono modello per le mani stese di Mad che chiede l’elemosina mentre vaga nelle strade della metropoli in cui ha sede il Parlamento Europeo, anzi Européen; e la statua stesa supina in un angolo ha la stessa posizione di Mad stesa sotto un altro maschio rimorchiato durante il suo delirio.

L’opera di Angela Dematté (che con Mad in Europe ha vinto il Premio Scenario) è un groviglio, come il manufatto più famoso fatto costruire da Minosse, proprio il figlio di Europa e Zeus: un labirinto. Una trama con pochi fili ma di spessore, e ostinatamente intrecciati per restituire agli spettatori (cioè ai cittadini europei) l’immagine riflessa di una confusione epocale dai tratti così intimi e privati come una maternità incipiente. Eppure, improvvisamente, i nodi sembrano sciogliersi: la sradicata Mad, incapace di ricordare la sua origine, vomita dalle sue viscere rimosse una parlata vagamente veneta che diluisce il grammelot internazionale in un flusso linguistico strapaesano che aggiunge umorismo e al tempo stesso sembra concentrare l’immensità di un continente nell’imbuto territoriale di campagne ravvicinate, dove la tragedia ha i colori della cronaca nera e la vita i sapori di un buonsenso popolare che di buono e di senso sembra avere, in realtà, assai poco. Con gli accenti della regione tradizionalmente (perlomeno per vox populi) più cattolica d’Italia lo spazio in cui Mad farfuglia le sue inconcludenti litanie di storia e attualità europea acquista i contorni di un luogo riconoscibile: una sacrestia, dove nella penombra di odori e bisbigli madonne in marmo ascoltano confessioni ardite e assistono a incontri indicibili. E dove, in questa sacrestia-ombelico del Parlamento Europeo, anzi Européen, la Madonna del XXI secolo, passata dai deliri linguistici di una Mouth a cui è stato restituito tutto il corpo agli incontri sessuali con sconosciuti come nuovi arcangeli annunciatori, può finalmente diventare una Madonna del parto; e partorire. E il groviglio si scioglie improvvisamente, diventando una fiaba moderna, un apologo lieve, una parabola evangelica, un’allegoria politica. Il bambino è raccolto dentro la bandiera europea, anzi è la bandiera europea stessa, e questo significa… Il significato – se c’è – lo possono immaginare o inventare gli spettatori, che non sono altro che cittadini europei. Assorti e attoniti di fronte all’epifania laica di un nuovo Salvatore (d’Europa?) che lascia presagire un futuro rassicurante o forse inquietante.

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Angela Dematté in “Mad in Europe” (foto Manuela Giusto)

Perché sia chiaro: questo non è teatro di narrazione, ma di simboli, dove tutto è ciò che è e per questa ragione è anche simbolo. Come gli spettatori, che sono (in grande maggioranza) cittadini europei, e perciò simbolicamente rappresentano, per sineddoche, l’intera popolazione europea: quella che a sua volta si vede rappresentata nell’ultra-simbolico (e nell’ultra-sineddoche) Parlamento Europeo, anzi Européen. Angela Dematté lo ripete diverse volte. Anzi, Angela ricorda che in scena c’è un’attrice che si presta a impersonare due figure: Mad e Angela stessa, ossia la narratrice (ma questo non è teatro di narrazione!). L’intreccio linguistico di Mad è così parte (sineddoche) dell’intreccio linguistico (metalinguistico) con cui Angela intesse l’intero spettacolo. Il cui ritmo è scandito da un intercalare tanto naturale e innocente quanto rivelatore: “voglio dire”. Un intercalare quasi banale, come “I mean” inglese o “yani” arabo: una forma un po’ più evoluta di “cioè”. Ma qui le parole esatte sono “voglio dire”, quasi una dichiarazione d’intenti, un promemoria agli spettatori (ai cittadini europei) a proposito della volontà espressiva dell’autrice, quasi un tentativo di piegare l’attenzione dalla storia e dalla metastoria verso la simbologia, anzi – meglio – verso il senso di ciò che qui si “vuole dire”.

Nella scarna ambientazione di questa anti-narrazione abitano solo poche sedie, che richiamano di volta in volta la sacrestia più volte evocata, così come l’aula del Parlamento Europeo, anzi Européen, ma che richiamano soprattutto, grazie alla collocazione speculare, le poltrone del pubblico che sta assistendo allo spettacolo. Angela è infatti cittadina europea, come lo spettatore, e anche come Mad, e come – per destino storico – la Madonna che racchiude in sé simbolicamente l’idea delle presunte radici cristiane dell’Europa. E cosa sarà allora il figlio di Mad, che nasce come il figlio di Angela (anch’essa incinta, ci viene detto) in un’Europa dove i simboli e la sineddoche sembrano schiacciare la vita reale delle persone, europee e no? Sarà davvero un Salvatore o solo un essere nato da una Madonna pazza senza radici che bussa il dolore della sua smemoratezza alle porte del Parlamento Europeo, anzi Européen, nato magari lo stesso giorno di un bambino nel fango di un campo profughi siriano che bussa sotto il baluardo egoista della nostra Europa, anzi Europe?

 

Mad in Europe. Uno spettacolo in lingua originale, testo Angela Dematté; collaborazione drammaturgica Rosanna Dematté; scene e costumi Ilaria Ariemme; disegno luci e audio Marco Grisa; interprete Angela Dematté; regia del gruppo Mad in Europe. Vincitore Premio Scenario 2015. Prima assoluta: Milano, Teatro Litta, 28 novembre 2015.

 

Visto a: Bologna, Centro La Soffitta, Laboratorio delle Arti, 18 marzo 2016.

 

 

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